Chiusura Centro Islamico a Mestre: Scoppiano le Contestazioni!

Di : Lorenzo Dalmoro

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Proteste a Mestre per la Chiusura di un Centro Culturale Islamico

A Mestre, una frazione del comune di Venezia situata sulla terraferma, si stanno verificando proteste da parte della comunità bangladese a seguito della chiusura di un centro culturale islamico, precedentemente adibito a luogo di preghiera. Il centro, ricavato in quello che era un vecchio supermercato, è stato chiuso in seguito a una decisione del Consiglio di Stato, il quale ha stabilito l’inadeguatezza dell’immobile rispetto alle normative urbanistiche. Questa decisione ha confermato una sentenza precedente presa dalla giunta di destra del sindaco Luigi Brugnaro.

Il caso ha suscitato notevole attenzione e la comunità bangladese ha accusato il comune di discriminazione razziale, criticando apertamente il sindaco e rivolgendosi persino al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per esporre la situazione. Il sindaco, da parte sua, sostiene di aver agito in conformità con le normative vigenti. Una manifestazione è prevista nei prossimi giorni e la comunità ha annunciato l’intenzione di appellarsi alla Corte di Cassazione.

Storia della Controversia

Il conflitto ha preso le sue radici due anni fa, nel 2023, quando circa 500 bangladesi, membri dell’associazione Ittihad, hanno affittato uno spazio all’interno di un ex supermercato Pam in Via Piave a Mestre, trasformandolo in un centro culturale islamico. Poco dopo, lo spazio è stato adattato anche per la preghiera. A maggio dello stesso anno, il comune di Venezia ha ordinato la rimozione del centro, affermando che lo spazio doveva essere utilizzato per scopi commerciali, come originariamente previsto dalle direttive urbanistiche.

Il comune ha richiesto la chiusura del centro poiché non era stata eseguita la procedura di cambio d’uso da commerciale a luogo di culto, necessaria secondo le normative regionali e nazionali.

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Precedenti e Reazioni

Questa non è una situazione isolata. Eventi simili si sono verificati anche in altre città, come Monfalcone, dove l’anno scorso sono state vietate le attività di preghiera in due centri culturali islamici per motivi urbanistici, su iniziativa dell’allora sindaca leghista Anna Maria Cisint. Anche a Mestre, nel 2017, un centro culturale islamico fu chiuso per gli stessi motivi.

Queste situazioni spesso vengono descritte come “chiusure di moschee”, anche se in realtà si tratta di centri culturali che offrono spazi di preghiera, dato che le vere moschee in Italia sono molto poche.

Il Futuro del Centro Culturale Islamico

In risposta alle critiche, il sindaco Brugnaro ha espresso il suo supporto per la realizzazione di un nuovo luogo di culto conforme alle normative in via Giustizia, a due chilometri da via Piave. Questo progetto prevederebbe la ristrutturazione di un edificio abbandonato e degradato, benché i tempi per tali lavori non siano ancora stati definiti.

Dopo il rifiuto iniziale del TAR del Veneto, l’associazione Ittihad ha fatto appello al Consiglio di Stato, che ha emesso una sentenza all’inizio di aprile confermando la decisione del TAR e del sindaco. Il Consiglio di Stato ha sottolineato che, sebbene la libertà di culto sia garantita dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali, il ricorso è stato negato per diverse ragioni, tra cui la mancanza di infrastrutture adeguate, come parcheggi e servizi igienici, previste dalla normativa regionale veneta.

La comunità ha messo in discussione queste norme, considerandole inadeguate alle reali esigenze delle persone che frequentano il centro. Allo stesso tempo, l’associazione ha evidenziato come la chiusura del centro privi Mestre di un punto di riferimento per servizi sociali importanti come corsi di lingua e assistenza burocratica.

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Dopo la sentenza, l’associazione Ittihad ha programmato una manifestazione per il 25 aprile, successivamente rinviata a causa del maltempo, con l’intenzione di riorganizzarla prossimamente. Nel frattempo, il portavoce dell’associazione ha utilizzato i social media per esprimere il proprio dissenso, pubblicando un’immagine satirica del sindaco Brugnaro.

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