Da Venezia al mondo: Casanova, il mito intramontabile e moderno!

Di : Teodoro Montani

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Vi è un’ironia palpabile nel celebrare Giacomo Casanova – simbolo della fuga, dell’evasione, del viaggiare incessante – con una mostra che termina il 2 novembre. Come se il tempo, quella dimensione che egli percorse con l’impellenza del desiderio e la leggerezza del gioco, potesse essere confinato tra le mura di Palazzo Mocenigo, anche se sontuose come quelle del Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume. Eppure, è proprio nell’essenzialità degli indumenti del Settecento, nelle pieghe delle marsine e nei dettagli ricamati dei gilet, che Venezia ha scelto di esplorare il mito del suo figlio più “scandaloso” in occasione del tricentenario della sua nascita (1725-2025).

Casanova interpretato attraverso il linguaggio dei vestiti

La rassegna veneziana – primo atto di un’analisi più estesa che la Fondazione Musei Civici dedica al celebre esploratore – si avvale di un punto di partenza affascinante: per capire Casanova non è sufficiente leggere delle sue avventure amorose o dei suoi intrighi politici. È essenziale comprendere il suo modo di vestire, il suo comportamento nell’ambito sociale del suo tempo, il linguaggio silente comunicato attraverso il panciotto e le calze di seta. Nella Venezia del Settecento, l’apparenza era fondamentale, e nessuno incarnò questo principio meglio dell’autore della Storia della mia vita.

L’esposizione a Palazzo Mocenigo – che include prestiti dal Museo Stibbert di Firenze e pezzi delle sue ricche collezioni – illustra la graduale evoluzione dell’abbigliamento maschile nel secolo dei Lumi: da manifestazione di potere grezzo a simbolo di eleganza, da dimostrazione di forza a rappresentazione di cultura. Il completo di tre pezzi che si affermò in quel periodo – marsina, gilè e calzoni – rappresenta una rivoluzione silenziosa, l’abbandono delle ridondanze barocche a favore di una raffinatezza che, paradossalmente, ancora oggi influenza le norme del vestire maschile. È l’alba della modernità sartoriale, e Casanova ne fu al tempo stesso interprete e visionario.

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Casanova tra cinema e realtà storica

La mostra non si ferma alla sola dimensione storica. Con una mossa curatoriale audace, intreccia il Settecento veneziano con la sua rappresentazione cinematografica: il Casanova di Federico Fellini del 1976, un’opera alienante e visionaria che trasforma il libertino in un automa malinconico, la seduzione in una meccanica del vuoto. È un cortocircuito temporale che getta luce su entrambe le epoche: Fellini, nel narrare Casanova, illustra anche la fine di un’idea di mascolinità, il declino di un certo modo di vivere il desiderio. E la Venezia del regista riminese – ricreata completamente a Cinecittà, tra cartapesta e specchi – diventa una metafora perfetta della Venezia settecentesca: splendida, decadente, già ombra di sé stessa.

La decadenza percorre la vita di Casanova come un leitmotiv. La fuga dai Piombi nel 1756 – impresa che lo rese famoso in tutta Europa – segnò anche l’inizio dell’esilio, un vagabondaggio attraverso corti e capitali che durò decenni. Conversatore eccezionale, giocatore d’azzardo, spia, occultista, militare: Casanova fu tutto questo e niente di definitivo. Incontrò Voltaire e Rousseau, frequentò Maria Teresa d’Austria e Federico di Prussia, ma concluse i suoi giorni come bibliotecario nel castello boemo di Dux, scrivendo memorie che nessuno avrebbe pubblicato prima della sua morte.

Casanova nelle narrazioni letterarie

È questo Casanova crepuscolare che Arthur Schnitzler afferra con precisione chirurgica ne Il ritorno di Casanova, racconto del 1918 ambientato quando il seduttore ha cinquantatré anni – la stessa età di Schnitzler al momento della scrittura. Il protagonista lotta disperatamente per tornare a Venezia, si dibatte in una tenuta mantovana tra il rifiuto amoroso della giovane Marcolina e il duello mortale con il sottotenente Lorenzi. La notte di passione ottenuta con l’inganno, la spada che trafigge il rivale all’alba: sono gli ultimi bagliori di un fascino ormai svanito, la consapevolezza del “decadimento fisico e della scomparsa del fascino erotico”. Schnitzler ritrae Casanova come una figura tragica, prigioniero della propria leggenda, costretto a recitare un ruolo che non gli appartiene più.

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Matteo Strukul, nel suo Giacomo Casanova. La sonata dei cuori infranti, opta invece per il momento dell’apogeo: la Venezia del 1755, quando il protagonista è ancora nel pieno delle sue energie e la Repubblica – sebbene vicina alla decadenza – mantiene l’illusione della grandezza. Il romanzo intreccia avventura e ricostruzione storica, mescolando personaggi reali (Tiepolo, Goldoni) e invenzione narrativa in un affresco che richiama i meccanismi del feuilleton ottocentesco. Anche qui, tuttavia, la seduzione è sia trionfo sia trappola: Casanova si innamora veramente della bella Francesca Erizzo, finisce ai Piombi, scopre di essere stato pedina in un intrigo di spionaggio tra Venezia e l’Impero Austriaco.

La nuova biografia di Miklós Szentkuthy si propone di restituire un Casanova meno stereotipato: non solo uomo di corte e umanista, ma anche frequentatore di porti e taverne, figura complessa che attraversa tutti i livelli sociali del suo tempo. È un approccio necessario, dopo decenni di rappresentazioni riduttive che hanno ridotto il seduttore veneziano a poco più che un’icona da operetta.

L’eredità di Casanova

Perché Casanova continua a affascinarci? Forse perché rappresenta un’idea di libertà – sessuale, intellettuale, esistenziale – che la modernità ha al tempo stesso esaltato e reso impraticabile. O forse perché la sua vita, narrata con quella “leggerezza” che Italo Calvino avrebbe elevato a valore letterario, ha immortalato “un mondo che la Rivoluzione Francese avrebbe spazzato via”. Un mondo in cui l’estetica era un linguaggio imprescindibile, la visibilità l’unico mezzo per affermare il proprio ruolo sociale, e la seduzione non una semplice conquista ma un’arte della conversazione, del gesto, della presenza.

La mostra di Palazzo Mocenigo chiude il 2 novembre. Ma Casanova – quello reale, quello delle memorie e dei travestimenti, delle evasioni spettacolari e dei fallimenti senili – continuerà a sfuggire a ogni tentativo di categorizzazione. Come si addice a chi ha fatto dell’evasione non solo un’impresa, ma una filosofia di vita.

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