La fine della leva obbligatoria in Italia vent’anni fa
Il 1° luglio di due decenni or sono, un importante decreto-legge fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il numero 115 datato 30 giugno. Questo documento, attraverso il suo articolo 12, segnò la fine della leva obbligatoria in Italia, consentendo ai militari in servizio di richiedere la cessazione anticipata delle loro attività. Questo rappresentò l’atto conclusivo di un processo di abolizione della leva che aveva avuto inizio anni prima, sotto l’egida di tre diversi governi.
Storicamente, il servizio militare obbligatorio, o “coscrizione”, era il periodo in cui la maggior parte dei cittadini maggiorenni era tenuta a servire nelle forze armate, una durata che subì diverse modifiche nel corso degli anni. Introdotto in alcuni stati preunitari, come il Regno di Sardegna dal 1854, fu esteso a tutto il territorio nazionale con la formazione del Regno d’Italia nel 1861, in maniera graduale e progressiva.
Il servizio militare divenne un obbligo sancito per tutti i cittadini maschi da una legge del 1875, modificata poi nel tempo, e confermato anche dopo l’istituzione della Repubblica Italiana nella Costituzione, la quale all’articolo 52 recita che «la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino». I mancati adempimenti a tale obbligo potevano portare alla reclusione per il reato di renitenza alla leva.
Il caso di Pietro Pinna nel 1948 fu emblematico per l’obiezione di coscienza in Italia, quando, dopo aver rifiutato la chiamata alle armi, fu incarcerato. Pinna, in seguito, descrisse la sua scelta come una reazione diretta agli orrori della guerra, che aveva vissuto personalmente, piuttosto che come un gesto basato su principi teorici di non violenza.
Durante il movimento del Sessantotto, l’obiezione di coscienza guadagnò terreno, culminando nella legge 772 del 1972 che regolamentava tale pratica, permettendo agli obiettori di scegliere il servizio civile alternativo al militare, sebbene non fosse ancora riconosciuta come diritto fino al 1998.
Il percorso verso il servizio militare volontario
Negli anni Ottanta e Novanta, il periodo di leva obbligatorio fu ridotto, ma nel contempo crebbe il numero degli obiettori e la critica alla coscrizione obbligatoria si intensificò, anche a causa di episodi di nonnismo che scossero l’opinione pubblica. Questo portò il governo di Massimo D’Alema a considerare un disegno di legge per abolire la leva obbligatoria e introducere il servizio militare volontario, esteso anche alle donne, proposta che divenne legge nel novembre del 2000 sotto il secondo governo Amato, con Sergio Mattarella come ministro della Difesa.
La legge stabiliva che le forze armate dovessero adattarsi a ruoli più dinamici e operativi a livello internazionale, suggerendo che un modello di servizio interamente volontario fosse più adatto a tali necessità. Tuttavia, la coscrizione poteva essere ripristinata in circostanze eccezionali.
Il passaggio definitivo alla professionalità militare
Il 16 luglio del 2004, la Corte costituzionale riconobbe la possibilità di adempiere al dovere di difesa della patria anche attraverso servizi alternativi al militare. Questo fu formalizzato con la legge Martino del 23 agosto 2004, che anticipò la sospensione delle chiamate al servizio di leva a partire dal 1° gennaio 2005, mantenendo l’obbligo di leva fino alla fine del 2004 per i nati fino al 1985.
Un decreto successivo fissò la fine delle visite di leva al 30 settembre 2004, e un ulteriore decreto-legge permise al personale di concludere anticipatamente il servizio. Da quel momento, l’Italia si unì a numerosi altri paesi nell’adottare un modello di forze armate basato su personale esclusivamente volontario, marcando un cambiamento significativo nel rapporto tra la nazione e le sue forze militari, come sottolineato anche dal quotidiano Il Manifesto.
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