Tra i telai a navetta di inizio ‘900 hanno passeggiato, vissuto e lasciato opere i più importanti artisti Fluxus, tra cui Yoko Ono. Nel 1972 Luigi Bonotto trasformò l’azienda di famiglia, fondata nel 1912 a Molvena, in una fabbrica museo dove si creasse una moda di tendenza ispirandosi ai lasciti di Mirella Bentivoglio, Nam June Paik, Ben Patterson, Giuseppe Chiari, Julien Blaine e Joseph Beuys, per citarne alcuni. Così mentre Marcel Duchamp giocava a scacchi con l’imprenditore, collezionista e mecenate, le mani dei maestri artigiani realizzavano tessuti esclusivi guardando le opere attaccate lungo i corridoi dell’azienda.
Oggi Giovanni e Lorenzo portano avanti le idee del padre Luigi. Dopo aver superato i problemi posti dal sindacato – non si voleva che opere da 20 a 200mila euro affiancassero i dipendenti per evitare qualsiasi danno involontario -, continuano a far lavorare i 200 maestri artigiani a fianco dei capolavori raccolti nella Fondazione Bonotto, con sede in fabbrica, che conta oltre 12mila Fluxus, poesie sperimentali e documenti, tra cui Dream di Yoko Ono e una copia originale del Manifesto del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti.
L’esperienza è davvero toccante. “Tutto è arte e tutti possono farne, diceva Maciunas. Per noi quelle tele valgono tanto quanto le opere dei nostri piccoli maestri – racconta Giovanni Bonotto -. Anzi, le idee che possono venire ai nostri artigiani valgono molto di più”. Risultato? Messi di Dior, Lanvin, Armani, Max Mara, Celine, Chanel, Burberry e tanti altri cercano proprio lì i trends del domani. Lì nell’archivio storico con migliaia di tessuti d’epoca. Lì nella Fabbrica Lenta di Molvena dove i telai a navetta dell’inizio del 1900 producono una serie limitata di tessuti con filati rari e di alto pregio come il cammello albino del deserto del Gobi, il guanaco andino, la lepre selvatica della Patagonia, la pecora nera e lo yak del Tibet dal pelo leggero e idrorepellente. Ma non solo fibre nobili: si lavora anche lana Shetland, cellophane, carta e cotone puro dello Zimbabwe. Accanto ai telai a navetta, macchinari degli anni Cinquanta e Ottanta non più in commercio, che possono tessere ogni centimetro diverso e fare cimose e intrecci complessi, e vecchi telai giapponesi alti 75 cm recuperati e rimessi in funzione. Questi telai sono controllati, alimentati e oliati dall’uomo per una produzione ricca di “imperfezioni” uniche e irripetibili.
La tintura e il finissaggio vengono fatte a Schio dove la tradizione si affianca alla ricerca stilistica per sviluppare nuovi processi di nobilitazione dei filati in grado di creare nuovi look e tatti. Da qui il menù di tintura dei tessuti: affumicato al tabacco del sigaro Toscano, bagno nel mirtillo Rigoni e follatura nell’Amarone. Una storia che è valsa a Bonotto l’invito a partecipare alla mostra-ricerca della Biennale di Venezia (2015) “Guardando Avanti. L’evoluzione dell’arte del fare”.