È stata definita una “poetessa della periferia” e una “reporter senza giornale”, perché Vivian Maier, una bambinaia un po’ eccentrica dal carattere schivo e solitario, non era una donna come un’altra. In un vecchio deposito, infatti, sono state rinvenute più di 100mila fotografie di quella che è diventata una pioniera della street photography ancora prima che venisse coniato il termine.
Il rinvenimento dell’archivio fotografico
Era il 2007 quando John Maloof comprò a un’asta, a Chicago, degli scatoloni pieni di cianfrusaglie per poco meno di 400 dollari, scatoloni provenienti da un magazzino espropriato a una donna che non pagava più l’affitto. Rovistando tra giornali, abiti e oggetti vari, l’uomo trovò migliaia di fotografie, negativi e rullini ancora da sviluppare. Erano scatti dell’America degli anni 50′ e 60′, principalmente delle strade della capitale dell’Illinois. Erano le foto di Vivian Maier, al cui nome Maloof risalì dopo qualche ricerca e di cui decise di ricostruire la storia e l’intero archivio. Scoprì che la tata, americana ma di origini francesi, prestava servizio presso le famiglie dell’alta borghesia, occupando il tempo libero con un’unica, compulsiva attività: la fotografia.
Vivian Maier
Vivian Maier (1926–2009) era una donna solitaria e riservata, ma molto materna. Liberale e dalle forti convinzioni politiche, portava i capelli corti, abiti semplici e fuori moda e la macchina fotografica sempre con sé.
È un mistero su come Vivian avesse sviluppato un così grande talento; si sa solo che da piccola aveva vissuto con la madre (una francese che aveva sposato un austriaco, ben presto uscito dalla scena familiare) nella casa di Jeanne Bertrand, una fotografa di successo specializzata in ritratti. A parte questo, pare che Vivian non abbia mai conosciuto altri fotografi. Per tutta la sua vita, infatti, custodì gelosamente il suo lavoro, spendendo tutto ciò che guadagnava in rullini e finendo più volte sull’orlo del lastrico.
Lo stile
Grande osservatrice, la Maier fotografava la realtà della città secondo mille sfaccettature (la povertà, il lusso, il lavoro, il gioco dei bambini) e aveva la capacità di catturare istantaneamente le emozioni della gente. Il tutto senza destare alcun sospetto grazie a una Rolleiflex, una macchina la cui inquadratura costringeva la fotografa a guardare verso il basso, consentendole di evitare il contatto visivo con le persone, quindi di avvicinarsi a perfetti sconosciuti senza essere notata. Certo, era comunque necessario avere un ottimo tempismo, poiché una pellicola consentiva solo 12 scatti, quindi nessun secondo tentativo.
Tra le istantanee di Vivian Maier, molte sono autoritratti riflessi in specchi e vetrine. Alcuni critici ipotizzano che fosse un modo per cercare se stessa, per capire il suo posto nel mondo.
La street photography
Questo genere fotografico consiste nel ritrarre le persone e le loro attività in luoghi pubblici; è quindi a tutti gli effetti uno specchio della società con enfatizzazione della componente iconico-artistica. Poiché non esiste posa, l’inquadratura e il tempismo del fotografo sono elementi fondamentali.
Il primo a scattare per strada? Eugène Atget (1857-1927) a Parigi, ma ricordiamo anche Henri Cartier-Bresson, Elliott Erwitt e Robert Doisneau, da cui Vivian Maier prese ispirazione visitando una mostra fotografica al Museum of Modern Art (MoMa) di New York.
Se anche voi volete lasciarvi ispirare da Doisneau, all’Arengario di Monza, fino al 3 luglio, sono esposte 80 fotografie in Le merveilleux quotidien.
Courtesy Fondazione Forma