E’ il titolo della grande mostra che conclude il semestre di Expo 2015 a Milano. Così, dopo 780 anni dal suo arrivo in città, 14 opere del grande maestro tornano a Palazzo Reale, forse proprio dove Giotto lasciò due cicli di dipinti murali, oggi perduti, ad Azzone Visconti.
Il titolo, Giotto, l’Italia, intende sottolineare il ruolo rivoluzionario del pittore fiorentino chiamato da cardinali, ordini religiosi, banchieri, dal re di Napoli e dal signore di Milano. Giotto infatti ovunque si sia trovato a lavorare ha avuto la capacità di attrarre fortemente le scuole e gli artisti locali verso il suo stile innovatore, cambiando in modo definitivo i tragitti del linguaggio figurativo italiano. “Giotto ha inventato la lingua figurativa fondamentale degli italiani, così come Dante è stato artefice della lingua che parliamo e intendiamo” ha detto Antonio Paolucci, presidente del comitato scientifico.
La mostra, a mio avviso, merita una sosta per due motivi:
– per ammirare le Due teste di apostoli e santi (1315-1320), affresco staccato e ricomposto su uno strato di gesso dalla basilica di San Pietro e mai esposto al pubblico;
– per osservare il polittico Stefaneschi mai uscito dalle mura della Città del Vaticano;
– per la delicatezza e la sensibilità con cui Mario Bellini ha allestito lo spazio. La luce soffusa coinvolge le opere inchinandosi ad esse. Finalmente un’illuminazione degna di una grande mostra italiana.
Di Giotto hanno parlato:
– Yves Klein: “Nella basilica di san Francesco ad Assisi ci sono affreschi monocromi interamente blu!”.
– Mark Rothko: “In Giotto si comincia a vedere l’inizio della disintegrazione dell’unità”.
– Alberto Giacometti: “Ricevetti un violento pugno in pieno petto davanti a Giotto. Ero disorientato e perduto”.
– Giorgio De Chirico: “In Giotto il senso architettonico raggiunge alti spazi metafisici”.
– Henri Matisse: “Quando vedo gli affreschi di Giotto non mi preoccupo di sapere quale scena di Cristo ho sotto gli occhi”.
Giotto, l’Italia resterà aperta al pubblico fino al 10 gennaio 2016.