Così rinasce il Centro Pecci di Prato per l’arte contemporanea

Spazi espositivi allargati, un programma culturale ricco e una nuova ala a forma di navicella spaziale progettata dall’architetto olandese Maurice Nio. Così si presenta il rinnovato Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, che promette di diventare un punto di riferimento internazionale per la sperimentazione di diversi linguaggi artistici contemporanei, dal cinema alla letteratura, dalla musica alle arti performative, dall’architettura al design e alla moda, con l’intento di avvicinare il più possibile l’arte alla società.

L’originaria struttura di Italo Gamberini è stata riqualificata per favorire la permeabilità fra il centro e il territorio. Un elemento simile a un’antenna sormonta l’edificio, sia per rappresentare la volontà di captare le nuove forme di creatività, sia per rendere la struttura immediatamente visibile a chi arriva da lontano.

La storia e le novità

Voluto dall’imprenditore Enrico Pecci e donato alla città in memoria del figlio Luigi, il Centro fu fondato nel 1988 come unica istituzione pubblica dedicata all’arte contemporanea in Italia. Con oltre 1.000 opere di importanti artisti, da Anish Kapoor a Jan Fabre, da Jannis Kounellis a Sol LeWitt, da Mario Merz a Michelangelo Pistoletto, il Centro Pecci vanta una collezione unica in Italia, purtroppo sacrificata a lungo nei magazzini per la mancanza di spazi espositivi. Da qui la decisione di intraprendere i lavori di ampliamento, iniziati nel 2010 e appena conclusi.

Oggi vive anche una biblioteca con oltre 50.000 volumi, un teatro all’aperto, un cinema/auditorium, oltre ai classici bookshop, ristorante e bistrot. Non solo. Performance, concerti, proiezioni, laboratori, conferenze e corsi per adulti sono resi possibili anche grazie all’orario serale prolungato. E, per la prima volta tra le istituzioni italiane, è stato introdotto un dipartimento di ricerca per costruire le basi teoriche delle iniziative e per sviluppare le attività educative.

La fine del mondo

La mostra con cui il Centro inaugura la sua riapertura si intitola La fine del mondo ed è visitabile fino al 19 marzo 2017. Più che dare una visione apocalittica, l’esposizione, che occupa gli oltre 3000 metri quadrati della superficie museale, cerca di dare la dimensione dell’incertezza in cui versa il nostro presente e della mancanza di strumenti per interpretarlo. Attraverso opere di 50 artisti, dal nativo americano Jimmie Durham al cubano Carlos Garaicoa, dai cinesi Qiu Zhijie e Cai Guo-Qiang a Marcel Duchamp, Pablo Picasso e Umberto Boccioni, fino a giovani ancora poco conosciuti, la mostra accompagna il visitatore in un percorso di distacco dal mondo attuale attraverso la malinconia per qualcosa che ormai è andato perduto, fino alla sensazione di intravedere un qualche futuro, ancora sconosciuto eppure già presente.

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“Sensing the waves”, new wing designed by Maurice Nio, Detail. Photo: Ivan D’Alì
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“Sensing the waves”, new wing designed by Maurice Nio, Detail. Photo: Ivan D’Alì
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Entrance of the new wing designed by Maurice Nio. Photo: Ivan D’Alì
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Interior of the new wing designed by Maurice Nio, first floor. Photo: Ivan D’Alì
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Stairs of the new wing designed by Maurice Nio. Photo: Ivan D’Alì
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“Sensing the waves”, new wing designed by Maurice Nio, Detail. Photo: Ivan D’Alì
Irene Dominioni

Cresciuta nella foresta di libri della sua casa milanese, Irene ha inseguito la passione per il giornalismo in Danimarca e in Olanda, grazie al master Erasmus Mundus Journalism, Media and Globalisation. Su Moda a Colazione scrive di cultura e viaggi.

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