Dai romani a oggi: gli abiti da sposa e il primo bianco

La veste bianca della seconda decade del XXI secolo? Dopo il royal wedding di Harry e Meghan, gli atelier di abiti da sposa di Milano, e credo del resto d’Italia, puntano sull’essenziale ma regale. Candidi e semplici lunghi. Un anno fa, quando sono convolata a nozze, di primo acchito mi aveva conquistato proprio un vestito da “principessa minimal” di Pronovias; poi ho preferito qualcosa di più unico: un pizzo francese Dolce & Gabbana, impalpabile, leggero, sublime, più adatto alla campagna toscana, il mio set. L’esperienza in boutique (Milano) è stata oltre le aspettative: accoglienza, competenza, qualità, servizio pre e post matrimonio, tutto da 10 e lode – non si può dire lo stesso dell’appuntamento rimediato da Luisa Beccaria, dove, se non sanno chi sei e che potresti diventare un potenziale cliente, sei quasi “incoraggiato” ad andartene. O dove ti possono propinare un abito dal corpetto completamente trasparente, anche se la cerimonia è in chiesa: Ttanto ormai la sposa può usare i copricapezzoli”.

Bando alle ciance, siamo qui per parlare della tradizione del wedding dress. Dicevamo: nel nuovo secolo si incoraggia il romantico e misurato. Poi entrano in gioco il gusto personale e la silhouette, e chi può permetterselo deve assolutamente puntare sul modello sirena, anche asimmetrico, visto in passerella da Marchesa. Certo, l’idea di fasciare e mostrare le potenzialità del corpo femminile è contemporanea. Nel 1900, il vestito non lasciava scampo alla pelle: copriva la donna dal collo a oltre i piedi, ed era caratterizzato da uno stretto corsetto.

Nel 1910, lo stomaco respira di più e il vestito scopre l’avambraccio e il collo, lasciando intravedere le spalle. In questi anni i capelli sono lunghi ma raccolti in acconciature sontuose, e il velo non manca mai.

Poi arrivano gli anni ’20 e la moda delle flapper girl contamina anche il matrimonio: i look sono freschi, al ginocchio, e adornati da accessori, come guanti e gioielli (tra cui le tiare). I capelli, ispirati alle dive di Hollywood, si accorciano.

Stessa cosa nel 1930, quando arriva l’abito leggero e svolazzante, privo di pizzi e galle, ma distinto da una fila di bottoncini. La Depressione e i pochi soldi, infatti, non permettevano l’acquisto di tessuti pregiati.

Negli anni ’40 e ’50, si predilige l’opulenza del corpetto, ma la gonna alle caviglie, più o meno ampia, resta candida, senza ricami. Il velo si accorcia e il trucco diventa più evidente (le labbra sono rosse). E’ l’era del New Look by Dior e del matrimonio di Grace Kelly con il Principe Ranieri III (1956).

La decade dello spazio (1960), dello sbarco sulla Luna, porta all’uso di materiali metallici…

…mentre, negli anni ’70, tra hippie e rockers, l’approccio è individuale. Debuttano i vestiti boho, le coroncine di fiori e le riviste da sposa.

Nel 1981 convola a nozze Lady Diana con il suo “fantasy wedding dress”, che ricorda tanto quelli “costretti” del primo Novecento.

Ma con il matrimonio di JFK Jr. e Carolyn Bessette (1996, indossava un Narciso Rodriguez) si vira al vero moderno e diventa popolare lo stile all’americana.

Dal 2000 a oggi, è attualità, che cambia al ritmo del giorno. La sfilata Chanel Cruise 2017/18 ha, addirittura, riacceso la tendenza in voga nell’antica Roma. A quel tempo le aristocratiche indossavano una tunica bianca (il colore dell’eleganza e delle nobiltà) ricevuta in dono dai genitori, chiusa da un nodo che poteva essere sciolto soltanto dallo sposo. I capelli erano ornati di fiori, grano, rosmarino e mirto: simboli di purezza e fertilità. Il velo era di un colore giallo zafferano, che simboleggiava il fuoco di Vesta (la dea che proteggeva il focolare domestico).

Insomma, il velo può piacere o meno, o essere più o meno candido, ma il vero abito da sposa resta sempre e comunque bianco. Il primo fu quello della principessa Filippa, figlia d’Enrico IV d’Inghilterra, che, per il matrimonio con Erik di Danimarca (1406), indossò una tunica e un mantello di seta bianca bordati di pelliccia di vaio e d’ermellino. Prima d’allora, la promessa indossava il vestito più bello che la famiglia poteva permettersi, e le donne appartenenti a una classe sociale alta preferivano stoffe brillanti e pregiate, decorate da ricami e arricchite da molti particolari. Un vestito che spesso era destinato a diventare l’abito più utilizzato nelle future occasioni di mondanità.

Il bianco torna con Caterina d’Aragona che sposa il principe Arthur Tudor (1501, entrambi 15 anni) con un abito di raso ricamato con perle e fili d’oro. Il vestito era allargato dal verdugale che non si era mai visto in Inghilterra; indossava un velo di seta bianco, che scendeva fino alla vita, bordato di oro e pietre preziose, e aveva i capelli sciolti sulle spalle, simbolo di verginità.

Ma l’abito bianco divenne molto popolare dal 1840, grazie alla regina Vittoria d’Inghilterra, che convola con Alberto di Sassonia-Coburto-Ghota. Rifiutando abito e gioielli tradizionali, decise di dichiarare pubblicamente che non è una regina quella che sposava Alberto ma una donna innamorata. L’idea era, dunque, di “spogliarsi” delle ricchezze e delle insegne del suo potere, scegliendo un abito bianco a campana adornato da qualche merletto e ricami preziosi. I gioielli erano in gran parte sostituiti dai fiori d’arancio, che portava anche tra i capelli assieme ai diamanti. Segno di distinzione del suo rango, il lungo strascico.

Vittoria sposa Alberto, foto Royal Collection Trust

Attraverso le sue figlie e nipoti, la tradizione dell’abito bianco di Vittoria ha raggiunto tutte le corti d’Europa e, con la diffusione di fotografie e riviste, ogni angolo dell’Occidente. All’inizio l’abito bianco rimase prerogativa di regine e principesse, le uniche che potessero permettersi un look per ciascuna occasione. Ma, col tempo, l’atto d’amore della regina ha avuto la meglio.

Non resta che “baciare la sposa”!

 

 

schizzi abiti sposa Fairmont Infographics Wedding Dress History

Margherita Tizzi

Giornalista, scrive su Vogue Italia, Amica e Grazia. È co-founder di Eccetera, studio specializzato nella creazione di progetti editoriali su misura, online e offline. E, dal 2013, su questo webzine racconta storie di luoghi, di fatto a mano e made in Italy, di cultura, arte e lifestyle.

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