Fino al 27 gennaio 2019 a Il Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera si tiene D’Annunzio e l’Arte del Profumo. Odorarius Mirabilis, una mostra che riunifica flaconi e ampolle, tra cui quelle dell’Aqua Nuntia, ideata dal Vate. Poi alambicchi, vasi per gli unguenti, bruciaprofumi. Circa centocinquanta gli esemplari e quattro le sezioni espositive, il tutto promosso da Marco Vidal, direttore commerciale Mavive e amministratore delegato di The Merchant of Venice, che tra l’altro ha creato sei profumi che portano i nomi delle opere più famose del poeta: Aqva Nvntia, la visione dell’antico; Ermione, la fragranza della gioia spirituale; Divina Mvsa, l’irradiazione del mistero; Il Piacere, l’inno alla voluttà felice; Notturno, l’omaggio alla bellezza della notte; Il Fuoco, l’emozione di un incendio.
Il Vittoriale, un santuario olfattivo
“Odorarius Magister”. Così Gabriele d’Annunzio è chiamato da Mario Ferrari della Farmacia Internazionale di Gardone Riviera in una lettera del 4 marzo 1925. Per d’Annunzio il profumo era tutto e tutto era nel profumo: tra visibile e invisibile, sacro e profano, gesto e genio. Dai versi dell’Alcyone, in cui lo spettacolo della natura e delle stagioni ha un continuo riferimento alle fragranze, a Il Piacere, dove la passione amorosa si nutre spesso della memoria olfattiva. Vedi il ricordo innescato nella mente di Andrea Sperelli dal profumo lasciato sulla pelliccia dal corpo di Elena.
Ancora. Nel Notturno, l’opera forse più personale di d’Annunzio, in cui descrive la dolorosa convalescenza dall’incidente in missione militare, è proprio l’olfatto a guidare il risveglio dalla malattia. Un mazzo di fiori freschi ancora bagnati dalla pioggia scuote l’immaginazione del poeta che riconosce le note del giacinto che “aumenta come il dolore in una scalfitura”, della zagara, “tanto mi piace che se nomino il profumo sento l’odore, la zagara di serra, il cui bocciolo è delicato e sensitivo come un capezzolo che teme la carezza”, dell’amorino che “più odora all’apice, come l’ultima falange delle dita che lavorano ai belletti”.
Approfondito e mai scontato, l’interesse del Vate per il profumo deriva dallo studio di antichi ricettari rinascimentali che tuttora si trovano nella biblioteca del Vittoriale, come i Notandissimi secreti de l’arte profumatoria, gli Experimenti di Caterina de’ Medici, fino al Ricettario Galante del Principio del secolo XVI, dove troviamo, a margine di un’antica ricetta di profumo, un appunto autografo di d’Annunzio con la formula dell’Acqua Nuntia.
L’ossequiosa valorizzazione che il poeta assegna alle fragranze è presente persino nel documento testamentario con cui cede il Vittoriale allo Stato italiano. “Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole le botteghe le officine a rimemorare e rinovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto che mi trovò Adolfo piceno, colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettari di Caterina Sforza, sottilizzo i profumi”.
Come scrive Paola Goretti, “Il santuario olfattivo accende le luci sull’essenza afrodisiaca, tra ispirazione e inspirazione. Così è l’archivio degli odori del Vate, pronto a discendere da tutti gli snodi, sprigionando un’estatica malìa. Il corpus letterario del Poeta esulta infatti di sostanze aromatiche, i suoi versi traboccano di odori, celebrando la bestia spasimante dell’olfatto. Tutto è accompagnato dal profumo, tutto è introdotto dal profumo, tutto è allacciato nel profumo. La carne impone il suo trasmutarsi, trasmigrando nella parola, come fosse profumo. E il profumo diviene arte divina – aerea, danzante – inneggiando la sostanza dionisiaca del creato, riversandosi nella parola – profumata anch’essa – che alla Natura si ispira e alla Natura ritorna, mentre l’arte olfattiva si carica di una sensorialità transustanziante, fatta di tessere lussuose per un lussuoso – quasi eucaristico – afrodisiaco senza fine”.
ph ufficio stampa