Care mutande e reggiseni, non avete avuto una vita facile. E che nomi! I romani vi chiamavano rispettivamente mutandae (da mutare), perché i lavaggi frequenti sbiadivano la vostra anima, e mammillari, perché avevate il compito di appiattire la mammella con delle fasce di cuoio, anche se Ovidio, nell’Ars Amatoria, raccomandava che la fascia subligaris fosse imbottita se il seno era troppo piccolo. Ma, nonostante aveste capito che 2000 anni dopo le vostre figlie culotte e push-up sarebbero state le migliori amiche di ogni donna, siete entrate e uscite dai guardaroba femminili troppo spesso. Motivo?
Per secoli avete rappresentato qualcosa da celare e da non nominare e durante il Medioevo siete cadute nel dimenticatoio; le famiglie nobili indossavano solo capi più fini sotto gli abiti per separarli dal contatto con la pelle. Più intraprendente fu la cugina giarrettiera: secondo una leggenda a metà del 1300, durante un ballo a corte, Giovanna di Kent perse il suo laccio per sostenere le calze. Edoardo III si chinò, lo raccolse e aiutò la contessa a indossarlo di nuovo. Tra bisbigli e risatine il re disse: “Si vergogni chi pensa male”, frase che diventò motto dell’Ordine della Giarrettiera.
Nel 1500 Caterina de’ Medici introdusse nuovamente il vostro uso, mutande, per coprire le gambe delle signore durante l’equitazione. Questa moda si diffuse nelle corti europee e, confezionate con tessuti d’oro, argento, ricami e pietre preziose, diventaste ben presto un frivolo strumento di seduzione. Però alle braghesse, lunghe fino al ginocchio, che le cortigiane lasciavano intravedere attraverso gli spacchi delle gonne, dissero no le aristocratiche. Si stima, infatti, che nel 1700 le portassero solo 3 nobili su 100. Nel secolo dei lumi le gentildonne preferivano il paniere (gabbia di cerchi di vimini posta intorno alla vita), il guardinfante e le sottogonne.
L’Ottocento racconta la storia di un altro vostro cugino, il busto, indumento intimo per eccellenza perché permise di sfoggiare un vitino da vespa. La vita si strinse fino a far mancare il respiro grazie a questo corsetto che, munito di stecche di balena, veniva indossato sopra le camicie e chiuso dietro da nastri e gancetti.
Care mutande e reggiseni… come le donne, nel ‘900 siete state finalmente liberate da qualsiasi tipo di metamorfosi e costrizione (stecche, stringi-seno, ganci, nodi, bottoni). Dopo che Hermine Cadolle, bustaia di Parigi, introdusse il primo esemplare formato da due triangoli di seta rosa legati da nastri in tinta che si allacciavano sulla schiena (1889), il 3 novembre 1914 Mary Phelps Jacobs brevettò il reggiseno che conosciamo oggi. Negli anni ’30, con l’invenzione dei collant, voi mutande avete abdicato in favore degli slip.
Nel dopo guerra torna, solo per sedurre, la lingerie “scomoda” (bustini e guepiere) delle pin-up e nei primi anni ’60, grazie alle dive di Hollywood (Marilyn Monroe in A qualcuno piace caldo, Elizabeth Taylor in Il gatto sul tetto che scotta, Sophia Loren in La miliardaria, Shirley Eaton in 007 Goldfinger, Claudia Carninale in L’affare Blindfold), l’intimo raffinato e ricamato diventa un fenomeno di costume.
Nel 1968, povero reggiseno, vieni denigrato dal movimento femminista; nei Seventies la biancheria è comoda, sobria ed elasticizzata; agli albori degli anni ’80 è tempo di riscoprirne il lato sexy. Testimonial di questa nuova era Kim Basinger in 9 settimane e 1/2 (1986), Eva Herzigova nella campagna di Miss Wonderbra (1990), Sharon Stone in Lo specialista (1994) e Demi Moore in Charlie’s Angels – Più che mai (2003).
Oggi, millenarie mutandine e centenario “bra”, siete ancora in evoluzione, ma una cosa è certa: vi mettete in mostra, apparite sotto i vestiti e sfilate in passerella! E, soprattutto, rendete più belle, sensuali, forti e intraprendenti tutte le donne.
Con affetto, Margherita.
articolo di Margherita Tizzi per Style Il Giornale