“L’Italia è la mia casa spirituale… Sin dall’inizio le mie scarpe sono state prodotte nei pressi di Milano, perché per gli italiani l’arte e l’artigianalità sono qualcosa di innato… Possiedono un’alta consapevolezza della bellezza, della sensualità e della gioia di vivere… Mi sento inesorabilmente italiano. Sono nato per cantare la Cavalleria rusticana, un’opera intensa e toccante”. In realtà Manolo Blahnik è nato per trasformare la poesia in materia, attraverso le proporzioni delle parti e il ritmo di colori e materiali che combina nelle sue scarpe.
Calzature che custodiscono le sue emozioni e le sue passioni per il cinema, l’arte, l’architettura e la letteratura. Il suo amore per la vita, insomma, che proprio a Milano si svela nella mostra Manolo Blahnik. The Art of Shoes, a cura di Cristina Carrillo de Albornoz. L’esposizione allestita a Palazzo Morando (fino al 9 aprile), dove già si conserva una collezione di 300 calzature databili tra il XVI e il XX secolo, presenta 212 modelli e 80 disegni del couturier spagnolo. Una selezione dell’archivio privato dello stilista (oltre 30mila pezzi), che rappresenta i suoi 45 anni di attività, rivelandone le fonti d’ispirazione: la botanica, le più disparate espressioni artistiche e la cultura di paesi quali l’Italia, l’Inghilterra, la Spagna, la Russia, l’Africa e il Giappone.
Il risultato? Tutte “le Manolo”, immediatamente e universalmente riconoscibili, sono l’affascinante combinazione di quattro elementi: meticolosa precisione, somma bellezza, fantasia stupefacente e lavorazione impeccabile, con texture lussuose, dettagli intelligenti e tonalità ricche ed esuberanti, in perfetta armonia tra loro. “Da disegnatore talentuoso qual è, i suoi fluidi bozzetti non sono solo schizzi suggestivi, ma opere d’arte a tutti gli effetti – racconta la curatrice -. La padronanza della linea, la ricca gamma cromatica e lo splendido uso del colore creano un senso di leggera gaiezza e un’onda di emotività”.
Che le donne aspettavano. “Le sue scarpe sembravano radicalmente diverse – ricorda Bianca Jagger – Erano esotiche in maniera incantevole, con frutta e fiori e forme seducenti e affascinanti”. Per Blahnik, infatti, le donne dovevano indossare modelli leggeri ma attenti al dettaglio e al virtuosismo tecnico, una questione di disegno, scultura e ingegneria, che studiò negli stabilimenti italiani a conduzione familiare. Maestri artigiani che ancora oggi lavorano per lui, per aiutarlo nella continua ricerca della bellezza, non seguendo mai le mode, come gli insegnò la madre durante l’infanzia alle Canarie. “La mia percezione della bellezza è sempre all’origine delle calzature che creo e il mio intento è che ogni millimetro di esse possa rifletterla. Una volta una cliente cinese acquistò il venticinquesimo paio di quella stagione, un modello in satin con una grossa fibbia. Le chiesi perché comprasse o collezionasse tutte quelle scarpe firmate da me; rispose: “Perché per me rappresentano la bellezza”, ma non sapeva spiegare perché le trovasse belle. Forse – le suggerii – la bellezza sta nel modo in cui le porta o nella felicità che le procurano. Mi sorrise”.
@ articolo scritto e pubblicato su Il Giornale