Taormina, la perla dello Ionio

L’avete vista nel muto L’appel du sang di Louis Mercanton (1919), in L’avventura di Michelangelo Antonioni, in Le grand bleu di Luc Besson, nel Piccolo diavolo di Roberto Benigni, nel Padrino parte III di Francis Ford Coppola, nell’ironico La dea dell’amore di Woody Allen. Incastonata tra l’Etna e lo Ionio, Taormina è stata costruita su uno spettacolare terrazzo roccioso, arricchito, in ogni periodo dell’anno, da cascate di rose (maggio-dicembre), di bouganville e oleandri d’estate e di gelsomini, che non smettono di sbocciare. In provincia di Messina, ma quasi più vicina a Catania, la rocca garantiva una certa sicurezza dai nemici che arrivassero dalla terra o dal mare. Le origini della città sono leggendarie e gli storici si contraddicono su chi siano stati i fondatori (i siculi, i greci, i nassi, i messinesi di Zancle) e anche sul significato del nome, Tauromenion. C’entra il Monte Tauro, così chiamato per la sua forma? C‘entra il Minotauro, che figura in alcune monete antiche? C’entrano i due principi di Palestina, Taurus e Mena? Oggi, con 2500 anni alle spalle, la piccola città di undicimila abitanti rimane un caso unico.

Greca, Araba, Normanna, Barocca

A Taormina ci sono distruzioni e ricostruzioni e ognuna ha lasciato qualcosa. I greci governano la città a partire dal 358 a.C. Andromaco, padre del famoso storico Timeo, è considerato il fondatore di Tauromenium, che rafforza le difese, costruisce le mura e il teatro, le naumachie e gli acquedotti. L’ordinamento della città è inciso su tavole di marmo: 14 sono tuttora conservate nel museo del Teatro Antico.

Il timore dei cartaginesi fa sì che i romani arrivino in Sicilia come alleati dei mamertini di Messina e restino poi da conquistatori. Siracusa viene distrutta. Tauromenion, per non fare la stessa fine, ne accetta la sovranità e Cesare Ottaviano ne fa una vera colonia. Colpiti dalla bellezza e dal clima mite, molti consoli, nelle pause della vita pubblica, la scelgono per riposarsi. Alcune importanti famiglie costruiscono lussuose ville sul mare e nella zona collinare.

Caduta Costantinopoli, Taormina diventa la nuova capitale della Sicilia orientale e sede dell’Arcivescovato: è un periodo di espansione e prosperità, del quale ci restano le due roccaforti bizantine. Poi tocca agli arabi. Il primo agosto 902 l’emiro Ibrahim Ibn Ahmed entra da Porta Cuseni, ribattezzata Porta dei Saraceni per l’infelice ricordo dell’invasione. La città viene saccheggiata e distrutta, i superstiti venduti come schiavi, eppure la vita ricomincia. Quando governano, gli arabi non sono crudeli come quando combattono: lasciano una torre, parte principale di Palazzo Corvaja, e una necropoli.

La dominazione dura finché, nel 1087, arrivano i normanni, una delle dinastie più illuminate dell’epoca. Dopo di loro ci sono gli svevi, altro buon periodo, specialmente sotto Federico II, ma nel 1266 il papa francese Clemente IV incorona re di Sicilia Carlo D’Angiò e comincia lo scontro tra angioini e aragonesi, che ottengono la sovranità. La pace arriva dopo novant’anni, nel 1395. Intorno al 1400, sui ruderi di una chiesetta medievale, nasce la cattedrale-fortezza. La struttura è a croce latina con tre navate; nelle due laterali trovano posto i sei altari minori. Sei colonne, tre per lato in marmo rosa e sormontate da capitelli decorati a foglia e a squama di pesce, sostengono la navata centrale che si apre sotto un soffitto a travi di legno con mensole intagliate, dove i motivi arabi sono resi in gusto gotico.

Gli spagnoli portano il barocco: si vede nella chiesa di San Pancrazio, in quella di San Giuseppe, nella deliziosa fontana di piazza Duomo (1635), con la centauressa incoronata che regge il mondo nella destra e lo scettro del comando nella sinistra. La Sicilia viene consegnata ai Borbone con la pace di Vienna. Nel 1808 il re Ferdinando IV visita Taormina: un’aquila che nutre due aquilotti scolpita su Porta Messina è il ricordo di quella giornata. E’ un breve regno: finisce nel 1860 con le camicie rosse di Giuseppe Garibaldi che entrano in città. Il generale Nino Bixio, ospite del barone Giovanni Platania, gli spiega che sta nascendo una nuova Italia.

La perla dello Ionio non è più al centro della politica, solo del cuore di cui ogni angolo è un racconto. Uno per tutti la Villa Comunale, il giardino all’inglese di Lady Florence Trevelyan, cugina della regina Vittoria. Esiliata dalla corte nel 1884, sposa il sindaco dell’epoca. Il parco, realizzato importando piante rare, passa al comune di Taormina nel 1922.

Il Teatro Antico

Guardare uno spettacolo al Teatro Antico in una sera d’estate è una cosa da fare nella vita. Alle spalle del palco non c’è scenografia: bastano il cielo trapuntato di stelle e le luci della baia come sfondo. Di epoca ellenistica, scavato nella roccia del Monte Tauro, è il secondo per grandezza in Sicilia dopo quello di Siracusa (ha un diametro di 110 metri) e risale al terzo secolo a.C. Più volte rimaneggiato, conserva ben poco dell’originaria cavea con nove gradinate, del portico e della scena. Bisogna chiudere gli occhi e immaginarlo. I romani lo modificano intorno al secondo secolo d.C. La scena greca viene sostituita da un prospetto monumentale a doppio ordine di colonne che trasmette il senso della potenza romana. Negli intercolumni, due grandi arcate permettono di inquadrare lo scenario naturale: l’Etna e il golfo di Naxos. In epoca tardo-imperiale, niente più musica, commedie e tragedie, ma un’altra ristrutturazione per trasformare il teatro in un’arena adatta ai sanguinosi giochi dei gladiatori. Poi, con la caduta dell’Impero d’Occidente, inizia la decadenza e il saccheggio. I preziosi marmi vengono rubati, le monumentali colonne del fronte scena usate per costruire le chiese cristiane. Abbandonato per secoli a consumarsi sotto il sole, mentre la pioggia cancella i nomi degli uomini illustri scolpiti sui sedili, affascina i viaggiatori romantici, alla ricerca del passato e del meraviglioso. “Mai il pubblico di un teatro ha avuto innanzi a sé uno spettacolo simile” scrive Johann Wolfgang Goethe nel suo Viaggio in Italia. Nel 1861 il pittore tedesco Otto Friedrich Geleng riporta in patria il celebre acquerello Veduta del Teatro Greco di Taormina. Gli amici lo accusano di aver inventato quel paesaggio: non riescono a concepire un posto che riunisca il bianco perfetto della neve, l’azzurro del mare e le rovine di un antico teatro punteggiato di fioriture primaverili. Allora partono per verificare, alloggiano in un’elegante residenza, diventata poi l’hotel Timeo, s’innamorano e danno inizio al pellegrinaggio di artisti e viaggiatori. Nel 1955 una grande opera di restauro ci restituisce il prestigioso palcoscenico de Il Festival del Cinema, Tao Moda e Taormina Arte.

L’Etna

Vivere accanto all’Etna non è semplice, eppure se non ci fosse, quest’angolo di Sicilia non sarebbe così affascinante. La montagna – 3321 metri nel ’94, ma le eruzioni rendono variabile l’altezza – è maestosa, ingombrante, sacra. Il vulcano attivo più grande d’Europa caratterizza ogni scorcio, provoca attrazione e vertigine. Così, in poco più di un’ora, si passa dalla fragranza dei giardini di aranci, cedri e limoni al profumo dei boschi, dai castagneti alle distese di eleganti betulle e pini loricati, dai vigneti di Nerello, geometrici e ordinati, alle stradine che salgono verso l’alto tra massi ciclopici, grotte segrete e inaspettati frutteti.

Quest’immensa area – 58.000 ettari con 20 paesi – è un parco dal 1987 e nel 2013 è stata dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, dove i turisti, almeno per un giorno, si lasciano alle spalle il mare e la mondanità per respirare l’aria sottile vicino al cratere centrale. Nella Valle del Bove, una scarpata da film di fantascienza lunga otto chilometri e larga cinque, si riversano, per fortuna, buona parte delle eruzioni. Sembra di essere in un altro mondo, in un altro pianeta. Eppure il mare è lì a quattordici chilometri in linea d’aria. Questa vicinanza ha fatto nascere il sorbetto: i monaci mandavano i loro carrettieri a prendere la neve sull’Etna per mescolarla al succo di limone e rinfrescare l’estate.

Antichissime eruzioni arrivate sino allo Ionio, all’altezza di Capo Schisò, hanno permesso la formazione delle Gole dell’Alcantara, canyon con alte pareti di basalto che imbrigliano l’acqua gelida e impetuosa del fiume. Per questo a Taormina è possibile trovare oggetti scolpiti in pietra lavica, gioielli in corallo e il Mongibel, il gelato con la cima ardente grazie a uno zuccherino imbevuto di liquore. Un modo per esorcizzare il dio del fuoco.

Il cedro di Taormina in Blu Mediterraneo di Acqua di Parma

La sua scorza profumata, nei toni più caldi e intensi del giallo, sprigiona tutta l’energia della luce mediterranea. La sua polpa ricca e succosa racconta le radici della terra, la dolcezza frizzante dell’aria, il lento rifrangersi delle onde. Il Cedro di Taormina, definito mela d’oro dagli antichi, diventa una fragranza della linea Blu Mediterraneo di Acqua di Parma. Un’essenza che libera tutto il potere tonificante del paesaggio siciliano.

In apertura le note agrumate di cedro e petit grain e quelle aromatiche del basilico. Subito dopo, nel cuore, il pepe nero e la lavanda accendono vibrazioni frizzanti e speziate. È di nuovo come se il cielo terso, le profondità del vulcano e l’orizzonte infinito del mare si incontrassero, rinvigorendo ancora più profondamente i sensi e l’anima. E alla fine, l’appagante dolcezza del cisto incontra le note calde, morbide e eleganti del vetiver e del cedro di Virginia.

Il cedro e i dolci

Nella cassata non può mancare il cedro candito, né può mancare nei cesti di frutta martorana (zucchero e farina di mandorle). Gli anziani del luogo ricordano ancora quando la colazione del mattino era un’insalata di cedro, olio e peperoncino rosso. Infine, in questa parte della Sicilia, non poteva mancare una storia: il matrimonio tra cedro e limone, innestati insieme su un arancio amaro. L’invenzione risale a 150 anni fa e si deve a un ufficiale garibaldino. Il colonnello Giovanni Interdonato inventò la nuova varietà, un limone simile al cedro e con una buccia molto sottile. E’ facile trovarli insieme, mescolati nei giardini. L’Interdonato è più piccolo; il cedro è glorioso e solare, scolpito come un paesaggio. Non si butta via niente: la buccia candita o caramellata va nei dolci (cannoli, torte di ricotta), la polpa e il succo sono perfetti per preparare il sorbetto e il gelo, un budino senza latte.

Tante foto di Taormina QUI.

Margherita Tizzi

Giornalista, scrive su Vogue Italia, Amica e Grazia. È co-founder di Eccetera, studio specializzato nella creazione di progetti editoriali su misura, online e offline. E, dal 2013, su questo webzine racconta storie di luoghi, di fatto a mano e made in Italy, di cultura, arte e lifestyle.

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